"Le Palle Delprete"

Sinnner non ce la fa e perde ancora contro Alcaraz, è suo il Roland Garros 2025

Tre match point. Tre fenditure nell’eterno. Tre battiti in cui tutto s’è sospeso. Il Philippe Chatrier tratteneva il fiato, Parigi nemmeno respirava. Bastava un colpo. Bastava un niente. E invece è stato il niente a venire. Un tremore. Un filo d’incertezza. Il braccio che vibra, l’aria che pesa. Due set scolpiti dentro il petto. Due scalate feroci, di piedi bruciati sulla terra, di nervi, di fame, di tennis fatto arte e morsa. Poi il terzo. Poi il quarto. Poi il quinto.

Non un crollo. Non una resa. Solo il tempo — maledetto, infame, irridente — che scivola. Come sabbia tra dita tese verso la leggenda. Come vento che spazza via ciò che era già lì. Tre match point. Tre universi sfiorati. Tre stelle che stanotte pesano. E peseranno. E scaveranno. E insegneranno.

Perché stanotte non ha perso Sinner. Stanotte ha perso il giorno che poteva essere. Ha perso quell’attimo che già brillava negli occhi, che già mordeva il cielo.

Ma chi l’abisso lo ha visto — chi ha tenuto il futuro fra le mani e l’ha sentito svanire — non resta lo stesso. Si rialza. Cambiato. Più feroce. Più pronto.

Stanotte su Parigi c’è un ragazzo che ora sa cosa costa la leggenda. E da stanotte comincia a rincorrerla davvero.

Onore. Onore pieno, senza riserve, all’uomo che ha strappato la notte. Che ha tenuto, lottato, rovesciato il fato. Che ha inciso il suo nome su questa battaglia d’altri tempi.

Parigi applaude. Noi applaudiamo. Ma il futuro — il futuro non è morto. È solo rinato. Più affamato. Più forte e furente.

Nei polsi, nel sangue, negli occhi di Jannik Sinner. Nei suoi DoloMitici occhi.

 

Ci ho creduto, ci ho creduto fino alla fine.
Ci ho creduto fino alla ultima lacrima di palla, sfuggente e arrembante.
Ci ho creduto, lacrima sangue su terra battuta.
Ci ho creduto, altalena perfetta d’imperfezione bastarda.
Ci ho creduto, quasi sei ore di tachicardia possente.
Ci ho credito, anima pura infinita tesoro e infinito lambente.
Ci ho creduto, ultima goccia di sangue esangue spremuta da spirito ardente.
Ci ho creduto, tre match point – contro altare del Serbar Rancore perenne – bruciati su altare di fato infame e d’amor impertinente.
C’ho creduto, lacrime piene di gioia incompiuta.
C’ho creduto, pronto a brindare a impresa compiuta.

C’ho creduto.
Ma non è stato abbastanza.
Centauro affamato, scoccava ad oltranza.
C’ho creduto. Ma non è stato finale sperato.
Dolomitica scintilla s’è piegata a ciò che è stato.

E allora non conta ciò che di giugno di Roma e di rima ora canto, per quanto sia affranto.

Sei ore passate di Tennis già bastano e saziano, del saper del diman altra sfida bastarda.

S’è vinti e s’è persi, nel cammin di ‘sto sport e di ‘sta vita.
Ma l’importante è che questo è solo inizio, pur di truce salita.