"Le Palle Delprete"

Lorenzo Musetti batte Rune e vola ai quarti di finale del Roland Garros

Ore 00:24. Roma mia, Roma nostra, Roma bella è già umida, mentre sfrigola la pelle sotto le dita. Parigi invece è ancora calda, poderosa e rovente di terra battuta, sangue, bestemmie e sudore. Io sto qua, posseduto, e non sono più io. Sono solo carne che scrive.

Musetti. Lorenzo. Il Magnifico. “Lollo” che sta scolpendo a Muso Duro un’epoca, stasera – e lo sento, lo sentiamo tutti, che ci pulsa dentro questo tempo nuovo. Perché non è solo che ha battuto Rune. È come lo ha fatto. Ed è quel come che ci sta cambiando la storia. Rune, corpo scolpito e cervello ancora fanciullo – palla spinta a furia di muscolo, di grido, di nervo teso. Ma stasera non bastava. Non bastava il fiato, non bastava il ghigno. Non bastava nulla.

 

Perché Lollo – Lorenzo Magnifico – stanotte danzava, di spirito di Re Roger infiltrato dolce, furente e gentile sotto maglia, pelle, anima e cuore – possessione di assoluto reincarnata abbozzata. Danzava, Lorenzo, sul rosso come pittore che incide su tela viva, come scultore che strappa le ombre dalla creta. Il braccio era sciolto, tremendo, teso come l’arco di Ulisse. Il rovescio? Ma quale rovescio. Era visione. Era folgore notturna che ti abbaglia e che ti asfissia lenta, medusa al collo che toglie ultimo fiato e pietrifica il cuore. Lorenzo. E il suo maledetto, bellissimo e glorioso Manrovescio di Dio.

 

E poi Rune che stava lì, piantato come palo che affonda nel fango. Più spingeva – più strillava – più veniva preso a schiaffi lenti, chirurgici, divini. Stilettate lente infilzate, una a una, di lungolinea e incroci virulenti e sanguinolenti a sgonfiare avversario. Da metà del terzo in poi – ve lo giuro – non era più neanche partita, ma esecuzione. Un Muso bello e Duro, ma che non sbatteva più ciglio. Un Lorenzo che giocava con la palla come gioca il vento sui papaveri: leggero e crudele. Un Lorenzo finalmente non più solo testardo, ma di testa. Quella testa che fino a ieri ci tradiva. Quella che ci faceva stringere le palle quando c’era da chiudere. Stanotte no. Stanotte quella Testa è stata granito. Era acciaio forgiato a mille gradi. Non un tremore, non un passaggio a vuoto. Rune che grattava il set? Lollo rispondeva: 6-3, 6-2. Con ritmo. Con poesia. D’inarrestabile marcia. E ora parliamone: che periodo è questo. Che febbre dolce ci sta invadendo.Sinner. Musetti. Arnaldi. Cobolli. Gigante. Italia che sul rosso di Parigi mette i nomi suoi, che sulle corde della racchetta scrive nuove strofe. No, non ce ne rendiamo conto, veramente. Perché questo è un tempo che va scritto a caratteri infuocati. Un Rinascimento, sì. Ma un Rinascimento Futurista. Un Tennis lanciato a mille all’ora, che grida, che arde, che divora. Stanotte me lo sento nelle ossa: non è solo Musetti che è cresciuto. È il nostro modo di stare al mondo. Non più a guardare, ma a scrivere. Non più a sognare, ma a prendere.

E adesso? Adesso che succede? Succede che stanotte, mentre scrivo e sudo, un popolo intero sta ricamando sogni nuovi. Sogni che domani avranno la forma di rovesci, di smorzate, di diritti accarezzati. E di vittorie. Perché stanotte il cielo sopra Parigi l’ha capito: è notte italiana. È notte nostra. E che Dio ce lo conservi così, questo Lollo. Perché stasera, fratelli miei, è stato Epifania.