De Clizibus

Sicilia, passo in avanti per l’applicazione della 194: assunzioni obbligatorie di medici non obiettori

In Sicilia, l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) diventa finalmente un diritto effettivo e non più solo teorico. Con un atto che rompe anni di stallo e omissioni, l’Assemblea regionale ha approvato una norma rivoluzionaria che obbliga gli ospedali pubblici ad assumere personale non obiettore, medico e non medico, per assicurare l’applicazione della legge 194. Un segnale chiaro, concreto, che punta a colmare il vuoto lasciato da decenni di obiezione di coscienza generalizzata e in alcuni casi, istituzionalizzata.

Oggi, in Sicilia, l’81,5% dei ginecologi si dichiara obiettore. In alcune province, come Messina, non esiste nemmeno un medico disponibile a praticare l’IVG. A Trapani ne è rimasto uno solo. Su 55 strutture con reparti di ostetricia e ginecologia, solo 26 garantiscono realmente l’accesso all’aborto, ovvero il 47,3%, ben al di sotto della media nazionale del 61,1%. Questo significa che per molte donne siciliane, il diritto all’interruzione volontaria della gravidanza è stato, nei fatti, negato. Ma adesso, con l’articolo 3 del disegno di legge 738, la Regione fa un deciso passo avanti. Le aziende sanitarie saranno obbligate a garantire aree funzionali dedicate all’IVG e dovranno prevedere l’assunzione di personale non obiettore con una clausola ben precisa: chi, dopo l’assunzione, dovesse dichiararsi obiettore, vedrà risolto il proprio contratto di lavoro. Una misura drastica, sì, ma necessaria per tutelare un diritto sancito dalla legge e troppo spesso calpestato dalla realtà.

«Un atto di coraggio», lo ha definito Silvana Agatone, presidente della Laiga, l’associazione dei ginecologi non obiettori. E non è un caso che questo atto arrivi da una regione come la Sicilia, dove per troppo tempo le donne sono state lasciate sole, in balia di un sistema che antepone l’obiezione di coscienza all’assistenza sanitaria. «Finalmente – ha spiegato Agatone – la Regione applica ciò che la legge già prevede: che l’IVG sia garantita, e che il controllo sull’attuazione spetti proprio all’ente regionale».

Il primo firmatario della proposta, il deputato regionale del Partito Democratico Dario Safina, ha parlato di una “battaglia di civiltà” portata avanti con determinazione, sottolineando come la nuova norma assicuri stabilità nei reparti e, soprattutto, tutele reali per le pazienti.

La Sicilia si afferma così come avamposto di una nuova consapevolezza, in netta controtendenza rispetto a quanto avviene in molte regioni governate dalla destra, dove si assiste a un progressivo smantellamento della 194 sotto la copertura della legalità. In Piemonte, per esempio, si finanziano le associazioni Pro Vita con un milione di euro all’anno tramite il fondo “Vita Nascente”; in Umbria (prima del recente arrivo della nuova governatrice di sinistra Proietti) e in Lombardia si approvano mozioni che eludono ogni riferimento a contraccezione, educazione sessuale e potenziamento dei consultori; nel Lazio, si raccolgono firme per imporre alle donne l’ascolto del battito fetale prima dell’aborto e si escludono i consultori dall’accesso ai bonus destinati alle madri. In Liguria, si pensa addirittura a sportelli Pro Vita da inserire obbligatoriamente dentro ogni ospedale.

È una strategia sottile ma potente, quella portata avanti dal governo Meloni e dai suoi alleati: non si tocca formalmente la legge 194, ma la si svuota, la si logora, la si soffoca con burocrazia, fondi sottratti, obiettori militanti, presidi integralisti davanti agli ospedali, sportelli “di ascolto” che hanno il solo scopo di colpevolizzare le donne. La ministra Eugenia Roccella lo ha detto chiaramente: «Purtroppo è un diritto». E proprio da questo “purtroppo” nasce un intero impianto ideologico che punta a svuotare il diritto senza nemmeno il coraggio di abolirlo.

La Sicilia, oggi, rompe questa spirale. Non solo rende giustizia alla legge 194, ma lancia anche un messaggio forte alle altre regioni e allo Stato: la legge si applica, non si aggira. Il corpo delle donne non è terreno di conquista per strategie politiche, né spazio per crociate ideologiche. È ora che il governo Meloni smetta di decidere al posto delle donne. Perché l’autodeterminazione non è un privilegio da concedere, è un diritto da rispettare. E chi lo ostacola, si pone contro la democrazia.