La Toscana non è immune. Nonostante l’assenza di scenari tipici da faida criminale e l’illusione di un territorio “pulito”, la realtà documentata dalla Direzione Investigativa Antimafia racconta tutt’altro.
Non si tratta di ipotesi, ma di operazioni, sequestri e milioni di euro riciclati sotto forma di investimenti nei settori più redditizi. Ristorazione, turismo, edilizia, tessile: dietro le vetrine pulite si nascondono capitali sporchi, intrecci con professionisti locali, e alleanze tra mafie tradizionali italiane e gruppi criminali stranieri.
In Toscana, oggi, la criminalità organizzata non si combatte più solo con le manette, ma seguendo i flussi di denaro.
Dietro le indagini della DIA c’è un territorio che attrae la criminalità più per le sue opportunità economiche che per la sua fragilità. I gruppi mafiosi non cercano scontri, ma visibilità azzerata e margini alti. Così la ‘ndrangheta, nonostante non abbia strutture stabili sul territorio, riesce a far girare soldi e droga mimetizzandosi nel tessuto economico della Toscana, grazie anche a legami con persone del posto che, volontariamente o meno, le permettono di farlo.
Anche la camorra è presente, con la strategia ormai consolidata di cercare imprese in difficoltà, offrendo prestiti, forniture, manodopera, fino a prendersi tutto. E cosa nostra? È meno evidente, ma resta attiva nei settori dove l’infiltrazione può passare inosservata come nell’edilizia, finanza, turismo.
A preoccupare non è solo la mafia “storica”. Le organizzazioni straniere hanno trovato qui un terreno fertile. La criminalità cinese si concentra nel triangolo Firenze-Prato-Pistoia, dove tessile e abbigliamento diventano veicoli di contraffazione, evasione fiscale e lavoro nero. Gli albanesi gestiscono lo spaccio, i nigeriani lo sfruttamento sessuale, i tunisini e i marocchini dominano la vendita di hashish e marijuana. La droga resta, come sempre, il canale più veloce per produrre denaro, e il porto di Livorno è da anni uno dei punti chiave per l’arrivo di cocaina e altri stupefacenti dall’estero, principalmente dal Sud America.
Le prove sono nei numeri e nei fatti. Un’operazione della Guardia di Finanza nel maggio 2024 ha portato alla luce una rete criminale italo-albanese attiva da oltre dieci anni. A Firenze, questa organizzazione aveva acquisito più di trenta ristoranti, due hotel e varie attività tra noleggio auto e produzione di birra, investendo oltre 13 milioni di euro di provenienza illecita. I sequestri hanno colpito beni per più di 12 milioni, e l’indagine ha mostrato come il centro storico della città fosse diventato uno snodo di riciclaggio ben organizzato e silenzioso.
Ancora più ampia, per dimensione e portata, è stata l’operazione “Muratore”, che ha scoperchiato una rete criminale transnazionale composta da 83 persone, italiane e albanesi, coinvolte in traffico internazionale di stupefacenti. Le sostanze partivano dall’Albania per raggiungere l’Italia e altri Paesi europei. L’organizzazione era così ben strutturata da curare ogni fase, partendo dall’importazione terminando alla distribuzione. Il sequestro finale ha riguardato oltre 5 milioni di euro.
Ci sono anche operazioni meno appariscenti, ma non per questo meno significative. A Sesto Fiorentino, un capannone industriale era stato trasformato in una vera e propria serra per la coltivazione di cannabis, gestita da un cittadino albanese.
In mezzo a tutto questo, la DIA lavora per proteggere non solo il sistema economico, ma anche la normalità dei cittadini. Ogni intervento serve a garantire che gli appalti pubblici non finiscano in mani sbagliate, che un ristorante in centro città non sia la copertura di un traffico internazionale, che un’azienda agricola non sia la base di uno spaccio strutturato.