“The last of us 2”, il viaggio di vendetta di Ellie si conlude, almeno per ora, con un finale agrodolce e misterioso
Si è conclusa il 26 maggio (in Italia, negli Usa il 25) alle ore 3 del mattino, la seconda stagione di The Last of Us. Il viaggio di vendetta di Ellie nel cuore di tenebra dell’apocalisse Cordiceps si chiude con un climax che lascia l’amaro in bocca per più di un motivo. Sette episodi densi, impietosi e intrisi di una perversa crudeltà che arriva nel momento in cui l’episodio è consumato, masticato ma difficilmente digeribile. L’amaro sul palato arriva a scoppio ritardato.
Sarà molto dura parlare di questa seconda stagione senza fare qualche spoiler quindi, cari lettori, vedrete faró del mio meglio ma qualora fosse necessario sarete opportunamente avvertiti quando andremo a toccare tasti sensibili.
A livello strutturale, ed era la nostra preoccupazione principe, come abbiamo illustrato qualche settimana fa, il pericolo della mancanza di verticalità è stato scongiurato da un abile settorializzazione della narrazione. Sette episodi, tre a Jackson, tre a Seattle e un meraviglioso episodio flashback (con guest star d’eccezione come Tony Dalton e Joe Pantoliano in due ruoli profondi che mostrano tutta la loro capacità attoriale) che copre gli anni fra la fine della prima stagione e il primo episodio della seconda. Ogni episodio ha la sua profonda identità come singolare mediometraggio ed ha una tematica che affronta in maniera asciutta e mai retorica. Ogni singola unità appassiona, intrattiene ma lascia l’amaro in bocca. C’è un orribile retrogusto che rimane sul palato di cui non capiamo la ragione che non c’è modo di comprendere. È l’ingrediente segreto che non c’è nella ricetta, è la carta coperta che gli autori non ci rivelano se non in ultimissima battuta. Ogni momento di dolcezza, di spensieratezza, di affetto, sia esso fra Ellie e Dina o fra Ellie e Joel o fra Tommy e Maria è piagato da uno spettro. Lo spettro di corpi impiccati e sventrati, di libri per bambini abbandonati e erosi dalla polvere, di comunità in una guerra eterna di cui non ne capiamo il senso, di messaggi radio fatti di sparatorie e colpi di fucile che eccheggiano nelle strade desolate, di una giovane adolescente cresciuta non come adulto funzionale come era il desiderio di Joel ma come prodotto malato di un misto di Nature and Nurture (natura e contesto, il contesto dato da Joel, una carogna in fin dei conti). Una Ellie diventata cieca dall’ossessione di caos e morte che mette in è pericolo le persone a lei care anche a fronte di rivelazioni che farebbero fare dietro front a chiunque altro. Tutto questo non ferma Ellie come nell’incipit non ferma Abbie.
C’è una guerra sullo sfondo, sanguinosa, disperata e senza senso in cui Ellie si muove come una scheggia impazzita. Gli autori sono abili nel mostrarci solo alcuni assaggi. Non ci è dato avere il quadro completo di Seattle, non ancora. Non oggi. Per quello ci toccherà aspettare qualche anno. Come per Apocalyspe Now! Il Vietnam è uno sfondo che tramuta gli uomini in belve senza scrupoli e in tutto questo Ellie è un Willard contaminato dalla follia. È piacevole vedere come la carneficina che Ellie, mette in opera è limitata ai bersagli. Chi ha giocato il videogioco sa che Ellie arrivata a Seattle diventa ben presto una macchina genocida da rendere fiero il mitico e intramontabile Doom Slayer dell’omonima serie.
No, qui Ellie è impreparata, disorganizzata, spaventata ma continuamente spinta da una rabbia cieca che la fa sragionare, la tramuta episodio dopo episodio in un odioso mostro.
Queste azioni di Ellie, ci lasciano più l’amaro in bocca rispetto alla morte eccellente a fine episodio 2.
In questo senso la chiusura della stagione trova la sua soddisfazione pur lasciandoci la fame della inevitabile terza parte. Il senso intrinseco di The Last of Us stagione 2 è la trasformazione di Ellie nel mostro senza scrupoli che Joel aveva fatto di tutto per evitare che accadesse. E questa sua personalità si trova ad affrontare le pesanti conseguenze proprio e solo durante l’episodio 7. L’amaro in bocca è anche questa sensazione che Ellie sia dalla parte del torto per tutto il tempo, starà a voi valutare nel finale se sia effettivamente così.
Parlando a livello tecnico ci sono alcune sbavature per i più attenti. Un grosso esempio è quando sono in scena le orde di infetti. Se in primo piano abbiamo dell’ottimo make up coadiuvato da una mai invasiva CGI, abbiamo sullo sfondo infetti fin troppo sani e freschi, tenendo sempre conto che sono passati 30 anni dall’inizio dell’epidemia. Per una produzione simile è parecchio grave calcolando che perfino con un budget da fame, oltre 40 anni prima Tom Savini, curatore degli effetti speciali (e attore) nel cult Dawn Of The Dead di George A. Romero almeno una mano di cerone e dei vestiti stracciati era riuscito a darla a tutte le comparse Zombi.
Ci sono poi diversi stridii principalmente in fatto di igiene e prevenzione di infezioni da fungo mutante (sì, in particolare sto parlando di QUELLA scena dopo la fuga nella metro infestata da spore e infetti. Se l’autore fosse stato Irvine Welsh l’infezione ci sarebbe stata eccome).
Quello che ha fatto storcere più il naso agli spettatori (e non hanno lesinato a lamentarsene sui social) è il comportamento di Ellie. Immatura, irresponsabile, odiosamente egoista e odiosamente ignorante. A fronte di un’umanità, per quanto spietata e crudele, pur sempre riflessiva e acculturata (vediamo molte persone leggere un maledetto libro e saper analizzare mappe, pianificare e ascoltare), il linguaggio di Ellie è meno che contadino, infantile. Esiste solo la sete di sangue, come un capitano Ahab ubriaco e senza la minima concezione di navigazione. Questa Ellie non piace ed non è un caso, è fatta per non piacere. Ed è qui che l’episodio 6 entra in gioco, mostrandoci i pensieri di Joel , il suo struggersi per essere un padre migliore di quanto non sia stato il suo salvo poi riuscire a trasmettere solo i valori sbagliati. Valori assoluti, egoistici.
Fa tutto parte del piano, come i rumori radio e gli spari all’orizzonte durante i tre giorni di Seattle. Ellie ci risulta negativa perchè di fatto lo è e lo scopriremo nella prossima stagione. La serie finisce con uno schermo nero che dura talmente tanto da farci ricordare Made In America de I Soprano per poi mostrarci di nuovo il primo giorno di Seattle ma da un punto di vista differente e chissà come gli autori gestiranno la pesante missione di mettere insieme il secondo terzo di The Last of Us parte 2.
L’importante per ora è che questa seconda stagione sia stata all’altezza delle aspettative e mi sento di dire che il risultato è molto positivo.
Ci rivedremo fra due anni, ma almeno con la pancia piena (House of the dragon : Impara).