Cronaca

Suicidio in carcere: ennesima vittima di un sistema che non funziona più, secondo tutti i dati ufficiali

A Torino, un uomo di origine marocchina si è tolto la vita dopo l’arresto. Un altro nome da aggiungere alla lista crescente dei suicidi in carcere. Il fenomeno, sempre più preoccupante, è confermato dai numeri.

Secondo il rapporto dell’Osservatorio Penitenziario GNPL aggiornato a marzo 2025, sono 57 le persone decedute in carcere nei primi due mesi e mezzo dell’anno. Tra queste, 13 sono suicidi, 11 morti per cause ancora da accertare, e 33 per cause naturali.

La Lombardia guida la triste classifica delle regioni con più suicidi, seguita da Calabria, Lazio, Sardegna, Toscana e Abruzzo. Gli istituti più colpiti sono le Case Circondariali di Firenze Sollicciano, Paola, Cagliari… e ora anche Torino, dove domenica scorsa si è verificato l’ultimo caso.

Il detenuto marocchino, arrestato pochi giorni prima in Corso Giulio Cesare, si è impiccato con i lacci delle scarpe, oggetto che non dovrebbe essere presente nelle celle, ma che ancora oggi, in molti istituti, circola senza un controllo efficace. Proprio i lacci, insieme a lenzuola, cinture o corde rudimentali, sono tra gli strumenti più usati per i suicidi in carcere.

L’uomo, come molti altri prima di lui, non era ancora stato condannato in via definitiva, e questo fa emergere un altro nodo irrisolto del sistema: molti dei suicidi avvengono tra persone in attesa di giudizio.

Nel profilo delle vittime, spiccano reati gravi come omicidio, tentato omicidio, violenza sessuale, rapina o furto. Tuttavia, il punto non è sminuire la gravità dei reati, ma interrogarsi su una verità amara: se il carcere ha una funzione rieducativa, perché così tanti si tolgono la vita?

La risposta sta in parte nel sovraffollamento, nella mancanza di sostegno psicologico e nella totale assenza di un percorso di recupero umano. Chi entra in carcere spesso è già fragile, marginalizzato, con alle spalle una storia di povertà, disagio, isolamento. E il carcere, invece di aiutare a ricostruire, diventa l’ultimo anello della catena del crollo.

Se si vuole davvero una società più sicura, meno violenta, allora bisogna partire da qui: capire, ascoltare, prevenire. Perché finché il carcere resterà solo un contenitore di disperazione, continueremo a contare morti. E sarà ogni volta troppo tardi.