"Le Palle Delprete"

Sinner costretto alla resa di fronte a Carlos Alcaraz che trionfa agli Internazionali di Roma

Domenica 18 Maggio 2025, mancano briciole di minuti alle 17 mentre Roma muta – in apnea silente – si staglia immobile in sole tenero di primavere che commuove e che scalda.
Sembra dorma, la Capitale, cheta in attesa d’impresa.
Sembra dorma, città tentacolare ed Eterna, di mille strade e vie immobili membra.
Corpo stanco, paziente, con un sol cuore – pulsante di passioni, colori e terra – battente.
Lì, verso il nord d’Urbe arde da stamani – dopo il luccichio di bagliore improvviso di ieri Paolini – l’epicentro di terremoto d’anime: è il Foro.

Foro di passione, sudore, speranze battente.
Foro buco nero, arancione e di terra che attrae impietoso e irruente verso il suo centro.
Foro che non è mai stato Italico come quest’anno, con Jasminia Superba che ha colorato d’azzurro la nostra Storia e il suo destino, prima di tornare a brillare – ancora, ancora una volta – con gladiatrice Errani l’Errante Vincente stamani in tripudio doppietta d’azzurro lucente.

Un quarto di lancette, adesso, si segna oltre le diciassette.
Brilla, impetuoso e imperante d’arancione vestito adesso il Centrale e tutto ciò che attorno – fra altri campi e maxi schermi disegnati per gente – lo avvolge.
No, non è più forse neanche un match, quello che va in scena adesso.
No, quel Centrale di ora è Colosseo di allora: Arena a festa per narrare e tramandare le epiche gesta.

Note di piano dolce, su voce leggera, adesso si alzano al cielo.
“Fratelli d’Italia, l’Italia del Tennis s’è desta, dell’Elmo di Jannik s’è cinta la testa.
Dov’è la Vittoria? Le porga la Roscia Chioma, che ai piedi di Roma Iddio la creò.
Siam pronti – sì – siam pronti alla morte.
L’Italia, la Storia qui ora chiamò”.
sembra che canti Frida.

Persone, persone di ogni età ed estrazione son ritte come pelle d’oca di vita, commosse.

Diciassette e ventuno.
Si cheta e silenzia il Centrale, mentre i gladiatori son pronti alla pugna.
Entra il primo, spagnolo furente, poi ancora silenzio, rotto solo da una parola: S-I-N-N-E-R
Sei lettere che si fondono in preghiera d’amore antico e futuro, sei lettere che disegnano amore e passione, sei lettere che si fondono in coro d’assoluto e d’assurdo di voci calde accese che ringhiano al cielo facendo tremare coscienze e anche di statue budella.

Siamo qui, adesso tutti muti, al cospetto di Storia che potrebbe compiersi dopo quasi 50 anni: Roma che torna di Roma, Roma caput mundi di sport e del Tennis, Roma Capitale d’Azzurro e Pianeta.

Potrebbe, ma nulla è scontato, come non era per nulla scontato che Lui arrivasse fin qui, alle soglie del Per Sempre dopo aver patito – innocente se non colpevole d’amore – le pene di Prometeo e di tre mesi di inferno.

Potrebbe, perché nulla è scontato. Ma Lui, che voleva solo caricare in sé un po’ d’agonismo, alla fine è tornato a bussare all’Olimpo pur martoriato anche da vesciche d’infame fato.

Ore diciassette e trenta.
Siam pronti – sì – siam pronti alla morte.
L’Italia, la Storia qui ora chiamò.

Primo game.
La Terra che inizia tremare e battere, scivola teso e veloce, mentre inizia secondo con ombra che su campo abbaglia e disturba, per un tratto, la vista.
1-1.
Avanti, tremando, ad armi pari mentre applauso irrompe per Lui e lo scalda.

2-1, batte adesso tabellone, dopo che anche l’incontro di scambi di Titani s’accende, con Schiaffo di Dio che inizia ad accordare racchetta.

2-2, dopo ancora vantaggi su servizio di Spagna su game duro e secco come lama d’acciaio.

E poi, poi game che si traveste da infinito.
Vantaggi, vantaggi e scambi su scambi su servizio di Roscio che fatica, tentenna e poi – magistrale – break point cancella e paure si scrolla: 3-2

Il primo set, d’impeto, forza e tumulti, si inarca e si stende lento e infinito su questa labile, glaciale e possente china di cristallo, capace e allo stesso incapace di rompersi ad ogni singulto d’ogni istante.

6-5, per Sinner che risponde a servizio. Antichi sprazzi lontani solo tre mesi abbagliano improvvisi il Centrale: 40-15, il Set pronto lì per esser preso per mano.

Ma è anche lì, proprio lì, che funesti si manifestano gli infimi fantasmi di quei maledetti, ingiusti, vigliacchi e violenti tre mesi di sospensione.

Sì, si capisce lì, su quelle due palle set accarezzate, baciate e poi mancate.
Sì, si capisce proprio lì che quei mesi non hanno solo lasciato vesciche e ferite, no.
Quei tre mesi infami hanno fatto una cosa, sopra di tutto:
hanno offuscato il killer instinct del Serial Sinner, quel sensore robotico e mortifero che s’attivava come uno squalo che sente il sangue: azzanna la preda.

Ecco, quello è lo strascico che si porta dietro Jannik.

E su quello qui, a Roma, Jannik voleva risposte che sono andate, per ora e purtroppo, mancate.
Perché il Tennis – proprio come la vita – è egli stesso primo squalo bastardo che quando sente che una Scintilla non azzanna alla gola, allora fa azzannare alla gola, ancora più forte, proprio quella Scintilla.

Lì, proprio lì, il Murciano per la paura scampata s’è fatto squalo furente, galvanizzato dalla morte appena scampata, che qui a Roma si gioca in tre set e l’errore è più caro.
Lì, proprio lì, quel fascio di muscoli e talento – nato e cresciuto proprio sulle dure zolle di terra e a suo agio – ha capito che poteva annullar Gladiatore e Imperatore proprio qui, nel suo Regno. E l’ha fatto.

Il secondo set, per spinta, stanchezza e strascichi di questi mesi, ad occhio attento s’era già fatto impietosa sentenza.

19:12
Roma, mentre volge svogliata e desnuda al tramonto, s’è risvegliata di nuova cicatrice marchiata.
Il sole come il sogno è appena calato di tenebre e strazio, mentre anime afflitte in pena ancora d’arancio vestite spaesate iniziano a vagare come dopo un coito brutalmente interrotto.

Io, povera scriba di gesta meravigliose e pochi ma loschi dolori, giaccio affranto e svuotato, capo chino su foglio e china.
Mi guardo, Lo guardo e vi guardo, fermati a ultima fermata d’Olimpo.
Vedo i Suoi occhi, così diversi dal fuoco glaciale a cui ci ha abituato.

Lo guardo, da lontano l’abbraccio e ringrazio.
E ancora una volta, per oggi, Caro Jannik ti scrivo. Così, magari, da questo dolore ci distraggo un po’.
Un altro match è finito, e qualcosa qua non è andato.

Ma, sai Caro amico cosa ti dico?
Grazie, solo grazie, grazie di cuore lucente e brillante come solo tu – Scintilla d’Infinito – sai brillare.

Grazie perché no, non era scontato neanche ci fossi tu, qui, in questa finale.
Perché solo un alieno, dopo i patimenti passati, poteva anche solo sognare di alzare quel trofeo per la prima volta dopo quasi 50 anni.
E tu – per fortuna o purtroppo – alla fine no, non sei alieno, ma italiano fulgente di talento, rispetto, furore, ardore ed amore.

Si vince e si perde, JannikBello, nella vita e nello sport, anche quando sei Sinner. Ma tu, questo, lo sai meglio di me.

Così come sai meglio di me che non si gioca mai soli e che – a volte – l’altro è semplicemente più forte.
E come sai meglio di me che è proprio da questi momenti, proprio da queste giornate, proprio da queste ferite che sanguinano copiose proprio davanti al tuo pubblico fraterno e amico che tu trovi benzina e fuoco per puntare ancora più forte ancora più in alto.

E allora ti abbraccio e ringrazio per l’ultima volta, ragazzo Uomo che incarna le nostre passioni e rappresenta l’Esempio di ciò che dovremmo provare ad essere sputando sudore e preparazione in ogni istante.

Ti saluto e ti abbraccio, JannikBello.
E vedi, caro amico, cosa si deve inventare, per poter riderci sopra, per continuare a sperare.
E il match che sta arrivando, fra un match passerà.
E tu ti stai preparando, ma questa non è una novità.