Città sempre più violente anche per le scorribande delle gang giovanili, adolescenti inquieti e violebnti che terrorizzanoi loro coetanei in molte città italiane. Tre ragazzi, tre storie. E una certezza: in certe zone, l’adolescenza è una preda.
Marco ha 14 anni.
Era con la sua ragazza, coetanea. Erano le 19, uscivano dalla stazione di Porta Nuova. Una zona piena di gente. Ma non abbastanza per salvarli.
Li hanno accerchiati in sei, tutti giovanissimi, nordafricani ed egiziani. Uno tira fuori il coltello, gli punta la lama. Gli dice: “Walla, ti faccio”. Marco tira fuori venti euro, li consegna tremando. Poteva finire lì. E invece no. Uno dei sei torna indietro. Lo guarda. Gli stampa due baci sulle guance.
Un messaggio chiaro: “Posso farlo di nuovo. Posso derubarti, e pure riderti in faccia”.
Due sono stati arrestati. Gli altri quattro, dispersi. E Marco? Marco ha solo 14 anni. E da quella sera dorme male. E guarda con sospetto ogni gruppo che si avvicina.
Claudio ha 22 anni.
Anche lui a Porta Nuova, con la sua ragazza e due amici. Un ragazzo lo avvicina, con la scusa di un’informazione. Ma è solo il primo passo. All’uscita, li circondano in sette. Una strategia militare. Due ai suoi lati, due ai lati della ragazza, due dietro e uno davanti, a fare da sentinella. Gli strappano la collanina dal collo. La polizia arriva mezz’ora dopo.
Il loro atteggiamento? Fastidio. Come se sapessero già che non avrebbero concluso nulla.
Mirko, 24 anni.
Cammina in via Madama Cristina, a pochi passi dalla stazione. Due ragazzi in monopattino lo affiancano, gli strappano la collana e spariscono. Ha il tempo solo di voltarsi. Chiama la polizia. Intorno c’è un gruppo che ride. Sembrano sapere tutto.
La pattuglia arriva. Controlla lui. E guarda distrattamente il gruppo. Nessuna domanda. Nessun inseguimento. Nessun arresto.
Queste storie hanno qualcosa in comune. Giovani vittime, ragazzi comuni, con fidanzate, amici, la voglia di uscire. E predatori, sempre più giovani, sempre più organizzati, sempre più impuniti.
Porta Nuova a Torino non è più una stazione. È un campo di caccia. Dove le regole le dettano bande di ragazzini con coltelli, monopattini e sfrontatezza. Dove rubano due volte: prima ti portano via qualcosa, poi ti portano il rispetto.
E la cosa più inquietante? Non è solo Torino. Milano, Bologna, Genova: cambia il nome della stazione, ma la scena è la stessa. Le baby gang non sono un fenomeno locale. Sono l’evoluzione criminale di un disagio che cresce nell’ombra.
Ogni volta che ignoriamo questi episodi, che li liquidiamo come “normali fatti di cronaca”, facciamo il gioco di chi semina il panico.
E lasciamo soli i ragazzi come Marco, Claudio e Mirko.
Soli, davanti a chi li guarda negli occhi e dice: “Posso derubarti. E poi, riderti in faccia”.