De Clizibus

Viaggio nella Ravenna dantesca, la città dove “riposa” il Sommo poeta

Il mausoleo a Ravenna dove sono custodite le spoglie di Dante

Cari lettori, oggi vi porto con me in un viaggio affascinante tra le vie di Ravenna sulle orme del Sommo Poeta. Un itinerario che non è solo geografico, ma anche letterario, storico ed emotivo, dedicato al profondo e spesso dimenticato legame indissolubile tra il padre della lingua italiana e questa accogliente città romagnola che lo ospitò negli ultimi, intensi anni della sua vita.

Ravenna non è solo mosaici e basiliche bizantine: è anche l’ultimo approdo di un uomo in esilio, l’atelier in cui prese forma la parte finale della Divina Commedia, la culla del suo eterno riposo. E proprio qui, tra vicoli silenziosi e piazze suggestive, si cela una storia straordinaria che merita di essere raccontata. Seguitemi, dunque, alla scoperta della Ravenna dantesca, tra aneddoti, luoghi simbolici, sorprese artistiche e misteri secolari. E chissà, magari alla fine anche voi, come me, vi ritroverete a guardare questa città con occhi nuovi, gli occhi di chi ha riscoperto, sotto il velo della storia, la potenza immortale della poesia.

Era il marzo 1302 quando l’Alighieri, in visita a Roma per questioni diplomatiche, ricevette l’infamante sentenza di condanna a morte sul rogo da parte del nuovo governo fiorentino dei Guelfi neri, che erano riusciti a sconfiggere gli avversari bianchi con l’infido aiuto del Papa e delle truppe francesi di Carlo di Valois: da allora non rivide mai più la sua amata Firenze. Dopo aver soggiornato in diverse città del nord Italia, tra cui Forlì, Padova, Treviso e Verona, nel 1315 gli venne concessa un’amnistia, a patto che pagasse una multa simbolica e riconoscesse le sue colpe, ma la rifiutò sdegnosamente rivendicando con orgoglio la propria innocenza. Dopo tanti anni trascorsi alla corte scaligera dell’amico Cangrande della Scala, nel 1318, per ragioni a tutt’oggi sconosciute, Dante accettò l’invito di Guido Novello da Polenta (nipote della celebre Francesca condannata nel girone dei lussuriosi) e si trasferì a Ravenna, sempre amorevolmente seguito dai tre devoti figli Pietro, Jacopo e Antonia (divenuta suora proprio in quegli anni col suggestivo appellativo di Suor Beatrice!). Proprio qui, nel capoluogo romagnolo, terminò la stesura del suo capolavoro letterario, ma anche il suo triste peregrinare dopo un esilio durato vent’anni: nella notte fra il 13 e il 14 settembre 1321, all’età di cinquantasei anni, Dante morì a causa della malaria contratta nelle paludose valli di Comacchio di ritorno da Venezia, dove era stato inviato in missione diplomatica dal suo nuovo mecenate, al fine di evitare una guerra con la temuta Serenissima. I funerali furono officiati con grandi onori nella chiesa cittadina a lui più cara, San Pier Maggiore (oggi San Francesco) e qui ovviamente furono sepolte le spoglie, ma già a distanza di pochi decenni ebbe inizio una vera e propria disputa fra ravennati e fiorentini su chi dovesse conservarle. Agli inizi del ‘500 la città romagnola, divenuta nel frattempo dominio dello Stato della Chiesa, rischiò seriamente di vedersele portar via a seguito dell’ascesa al potere del Papa toscano Leone X (figlio del celebre Lorenzo de’ Medici), il quale difatti ordinò che i resti del Poeta venissero immediatamente spostati nella sua terra natìa, ma al momento dell’apertura del sarcofago da parte dei delegati ci fu un colpo di scena: le ossa erano sparite. Dopo infinite indagini e svariate congetture, vennero ufficialmente considerate disperse fino al 1865 quando, durante dei restauri, furono casualmente rinvenute in una cassetta di legno nascosta per secoli dai frati francescani. La salma fu ricomposta, esposta per qualche mese in un’urna di cristallo e quindi ritumulata all’interno del tempietto del Morigia (amichevolmente soprannominato la “zucarira”, ossia la zuccheriera in dialetto locale), in una cassa di noce protetta da un cofano di piombo che è a tutt’oggi visitabile in pieno centro storico di Ravenna e meta di continuo pellegrinaggio. Ma oltre alla sua travagliata storia, ci sono altre due curiosità che devo assolutamente raccontarvi su questa celebre tomba: la prima è che al centro del piccolo ambiente pende una lampada votiva alimentata con l’olio delle colline toscane che ogni anno, durante la seconda domenica di settembre, il Comune di Firenze offre in memoria del suo illustre concittadino. La seconda è che questa meravigliosa città ha deciso di omaggiare in eterno il riposo dell’amato ospite toscano dando vita al progetto “L’ora che volge il disìo”, una lettura pubblica perpetua (trasmessa in diretta streaming sul sito vivadante.it e sulla pagina Facebook Ravenna per Dante) di un canto della Divina Commedia all’ora del tramonto, ogni giorno dell’anno escluso quello di Natale.

La via della “zuccheriera”, intitolata ovviamente a Dante Alighieri, è il fulcro di quella che è stata definita “zona del silenzio” o “zona dantesca”, proprio perché vi gravitano intorno tutta una serie di edifici o monumenti a lui dedicati. C’è il Museo Dante, realizzato nel primo piano dell’ex convento francescano nel 1921, in occasione delle celebrazioni del VI centenario della morte del Poeta e poi ristrutturato più volte in prospettiva del settecentesimo anniversario tenutosi nel 2021. Qui, attraverso un percorso che si snoda in più sale, è possibile ripercorrere tutta la storia umana e artistica del “ghibellin fuggiasco”, grazie anche ad una serie di reperti e cimeli di grande suggestione, come la cassetta in cui i frati nascosero le sue ossa e l’arca in cui le stesse furono esposte al pubblico nel 1865, a seguito del loro fortuito ritrovamento.

Dal lato opposto del museo invece, negli spazi della biblioteca Oriani, potrete ammirare sempre nuovi eventi dedicati, come il meraviglioso progetto espositivo “Dante plus” che ho avuto la fortuna di ammirare personalmente, una mostra collettiva che ha riunito un gruppo di 44 artisti diversissimi fra loro (dall’illustrazione, al fumetto, fino alla street art) accumunati dalla volontà di omaggiare il Padre della lingua italiana con il proprio peculiare talento.

Il mio viaggio nella “Ravenna dantesca” si è infine concluso in via Pasolini, davanti all’ormai celeberrimo murales dell’artista brasiliano Eduardo Kobra, attivista militante nonché una delle firme internazionali più famose della Street Art mondiale, noto per le sue sgargianti opere urbane di protesta. Il suo caleidoscopico Dante rivisto in chiave pop, è stato realizzato usando solo vernici allo smalto con l’ausilio di un compressore e una pistola a soffiaggio, come fosse un grande aerografo, terminato in soli in tre giorni nel settembre del 2016 per la mostra “idDante”, ma pur essendo così recente è già divenuto, manco a dirlo, una delle mete più amate e gettonate dai turisti di tutte le età e assurto unanimemente a icona artistica della città.

Così si conclude il mio viaggio nel cuore di una Ravenna che pulsa ancora del respiro di Dante, tra storia, arte e memoria. Una città che non si è mai limitata a custodire le sue ossa, ma ha scelto ogni giorno di celebrarne il pensiero, di farne viva presenza, di trasformare l’eredità del Poeta in un dono collettivo. E allora vi invito a venire qui, a camminare anche voi tra la “zona del silenzio”, a perdervi tra versi incisi nella pietra, sguardi dipinti sui muri e canti che al tramonto accendono l’anima. Perché, come scrisse proprio lui, “fatti non foste a viver come bruti” e nessun luogo, come Ravenna, è in grado di ricordarci che la cultura può ancora salvarci.