Fungo magico

Quel sabato pomeriggio di musica: una riflessione per Francesco

Francesco da giovane

Quando moriamo, credo scegliamo un giorno preciso dove restare per un po’. Una specie di sala di attesa, una sosta, prima di tornare nel flow. Non è il giorno in cui siamo nati, né quello in cui siamo morti. È un giorno qualunque, in cui siamo stati felici — e ce ne siamo accorti. Mi arrogo, con tutta l’arroganza concessa a chi ama immaginare, il diritto di pensare dove potrebbe essersi fermato Papa Francesco. E lo vedo lì, nel quartiere di Flores, a Buenos Aires.
Un sabato pomeriggio d’infanzia. La mamma, Regina María Sívori, donna ligure, cuce i ritmi della casa con la voce e il profumo delle empanadas, calde di affetto e spezie. Lui — Jorge Mario — è seduto su una poltrona dalla tappezzeria fiorita, quella che scricchiola appena ci si siede. Sul tavolino, una radio. E dalla radio, le note: Mozart, Beethoven, Bach. Ma anche di più. C’è Carlos Gardel, che canta “El día que me quieras”, con quella voce che sembra sussurrare direttamente al cuore di Buenos Aires. C’è Ástor Piazzolla, il genio ribelle, che rivoluziona il tango con la sua “Adiós Nonino”, struggente come una lettera mai spedita. E poi Mercedes Sosa, con quella voce che abbraccia il mondo, e che canta “Gracias a la vida” con la dolce forza di chi ha sofferto e continua a cantare. Sulle frequenze della radio arrivano anche gli echi dell’Italia: Beniamino Gigli, Claudio Villa, Luciano Pavarotti nei suoi primi anni — voci liriche che aprono finestre sul cielo. Sua madre non metteva solo il pranzo sulla tavola, metteva musica nell’aria. Insegnava ai suoi figli ad ascoltare tutto. Perché chi sa ascoltare la musica, sa entrare nelle relazioni con delicatezza, attenzione, presenza. “La musica,” avrebbe detto da adulto, “è una metafora della vita”. Francesco — lo stesso che un giorno, da Papa, entrerà in un negozio di dischi a Roma senza avvisare nessuno, con la gioia di un ragazzo — ha sempre portato con sé questa educazione sentimentale all’ascolto.
Non è un caso che abbia più volte affermato: “La musica può aiutare la convivenza dei popoli”. E ancora: “Ogni vita ha bisogno di armonia. Anche i silenzi devono essere ascoltati”. Nel 2023, parlando alla Pontificia Accademia delle Scienze, definì il comporre musicale come “una responsabilità”, capace di tenere insieme le differenze, di creare unità. Come se scrivere note fosse una forma di misericordia. In quel sabato pomeriggio d’infanzia, dunque, forse è lì che ha scelto di restare. Per un po’. Nel tempo sospeso in cui l’amore prende la forma di una madre, il sapore del cibo condiviso, il suono della musica che ti prepara a sostenere e difendere l’umano. Forse il cuore di Francesco — l’uomo, prima che il pontefice — si è formato lì. Nell’ascolto di quella radio, nel profumo di empanadas che salgono dalle mani di Regina, nel silenzio pieno di senso che solo chi è cresciuto in una casa piena di musica sa riconoscere.
E così, mentre il mondo lo saluta e i fedeli piangono, forse lui è lì, per un po’, in quell’eterno sabato pomeriggio. Seduto accanto alla radio. Ad ascoltare.
A sentire. A restare.