Da qualche settimana, molti utenti italiani (e non solo) si sono accorti di una novità spuntata su WhatsApp: una nuova icona blu, visibile nella barra di ricerca o come chat automatica tra le conversazioni. Si chiama Meta AI, ed è il nuovo assistente virtuale sviluppato da Meta, la società madre di Facebook, Instagram e della stessa WhatsApp.
Nello specifico, si tratta di un chatbot basato sull’intelligenza artificiale, pensato per rispondere in tempo reale alle domande degli utenti, generare testi, suggerire contenuti, e perfino agire come motore di ricerca senza dover passare per Google o altri strumenti.
L’obiettivo dichiarato da Meta è chiaro: rendere l’app di messaggistica più usata al mondo ancora più “utile” e interattiva, rispondendo alle nuove esigenze di un’utenza sempre più smart. Oggi le persone cercano informazioni immediate e soluzioni rapide, e Meta punta anche in questa direzione.
Ok, tutto molto affascinante, soprattutto in un contesto in cui l’intelligenza artificiale è sempre più presente nella nostra quotidianità. Non sorprende, quindi, che Meta, così come altri colossi tech, stia accelerando sull’integrazione di questi strumenti nelle sue piattaforme.
Ma c’è un dettaglio, anzi due, che fanno discutere gli utenti: nessuno ha chiesto l’attivazione di Meta AI, e non esiste modo per disattivarla.
Meta AI è comparsa all’improvviso, senza preavviso, senza una richiesta di consenso e, al momento, senza possibilità di rimuoverla. Certo, può essere ignorata: non si è obbligati a usarla. Ma intanto resta lì, ben visibile, e integrata in modo permanente in un’app che, per molti, rappresenta uno spazio personale e privato.
Mark Zuckerberg ha assicurato che le conversazioni con Meta AI sono separate da quelle con amici e familiari, e che l’assistente non accede alle chat personali. Tuttavia, la sola presenza di uno strumento AI dentro WhatsApp solleva interrogativi legittimi: Quali dati raccoglie effettivamente? Perché non c’è stata trasparenza sull’introduzione? E soprattutto: perché non si può scegliere?.
La sensazione è quella di una forzatura. Un aggiornamento calato dall’alto, che non tiene conto del principio base di ogni relazione digitale sana: il consenso.
Il progresso tecnologico è inevitabile, e in molti casi anche desiderabile, ma non può sostituirsi al rispetto per l’utente. Integrare strumenti avanzati senza coinvolgere chi li dovrà usare rischia di generare l’effetto opposto a quello sperato: più fastidio che entusiasmo, più diffidenza che innovazione.
Perché l’intelligenza artificiale può anche essere utile. Ma deve esserlo quando la scegliamo noi, non quando ci viene imposta.