Mentre il sistema scolastico italiano fa acqua da tutte le parti, campeggiando nelle ultime posizioni a livello europeo in quasi tutti i criteri, il governo Meloni, nella figura del ministro dell’istruzione e del merito Giuseppe Valditara, continua ad utilizzare la feroce crociata contro la fantomatica cultura woke come arma di distrazione di massa anche in questo settore. Dopo le tanto ridicole quanto vergognose proposte di legge dei deputati leghisti Sasso e Ravetto, volte a soffocare libertà individuali e inclusione attraverso la richiesta di abolizione di carriere alias e spazi comuni gender neutral come bagni o spogliatoi, dopo l’istruttoria della ministra Bernini sui corsi queer dell’università di Sassari e Torino, dopo il dirottamento dei fondi statali destinati all’educazione sessuo-affettiva verso corsi di fertilità, ecc ecc, l’ultima impellente priorità del ministro Valditara è stata quella di mettere al bando l’uso dei segni grafici neutri come la schwa (ə) e l’asterisco nelle comunicazioni ufficiali tramite una circolare che recita così: “L’uso di segni grafici non conformi, come l’asterisco (*) e lo schwa (ə), è in contrasto con le norme linguistiche e rischia di compromettere la chiarezza e l’uniformità della comunicazione istituzionale”.
La cosa fa decisamente sorridere e indignare al contempo, se si pensa ai veri giganteschi problemi che affliggono il nostro sistema scolastico, denunciati anche da Il Sole 24 Ore in una famosa pubblicazione dell’anno scorso. Abbiamo un vergognoso tasso di abbandono scolastico, tra i più alti d’Europa, che arriva addirittura a superare la percentuale del 20% in alcune regioni del Sud. Un risultato preoccupante che si inserisce nella storica problematica delle disparità territoriali in termini di offerta formativa, infrastrutture, e preparazione dei professori. Quest’ultimi sono afflitti e scoraggiati dalla crescente piaga del precariato, fenomeno sempre più in crescita negli ultimi anni e seriamente dannoso per la continuità formativa degli studenti. Infatti la riforma della “Buona Scuola” introdotta dal governo Renzi nel 2015 aveva portato alla stabilizzazione di circa 90 mila docenti e a una riduzione sostanziale del ricorso ai supplenti scesi a 60mila. Nove anni dopo, ossia dopo l’ultimo censimento 2024, si è verificata una vertiginosa impennata che ha fatto salire il numero a 105mila unità, per non parlare di quelli di sostegno che sono quasi quadruplicati passando da 36mila a 130mila, il tutto reso ancora più paradossale dal fatto che la popolazione scolastica è in costante diminuzione (passata da 8,8 milioni di studenti dall’infanzia alla secondaria nel 2015 a 8 milioni nel 2024). All’elevato tasso di pensionamento dei docenti di ruolo (al ritmo di 26 mila l’anno) dovuto a un’età media parecchio avanzata, non corrisponde spesso una domanda di cattedra fissa perché molti neolaureati, soprattutto in materie scientifiche, sono attratti maggiormente dal mercato del lavoro privato che offre salari migliori e maggiori opportunità di carriera, oppure non si rendono disponibili a spostarsi stabilmente in altre regioni, specialmente da Sud a Nord, perché non incentivati a trasferirsi in luoghi dove il costo della vita è ben più alto rispetto ai salari del sistema italiano fra i più bassi del Continente. Come se non bastasse, ad aggravare e complicare la situazione ci si è messo lo stesso ministero dell’Istruzione che, in accordo con quello dell’Economia, ha ridotto il numero di cattedre di ruolo da assegnare – 45 mila posti di ruolo, contro gli 80 mila del 2023 – per fare spazio ai vincitori del primo concorso bandito con le regole del Pnrr, generando malumori fra chi è risultato idoneo in concorsi precedenti e già intenzionato a presentare legittimi ricorsi.
Un altro gravissimo aspetto è quello dell’edilizia poiché la metà delle strutture scolastiche attive è stata costruita tra il 1950 e il 1992, il 58% ha più di 40 anni (con tutti i deficit correlati di classe energetica e di modernità), solo uno su dieci è stato costruito dopo il 1997 e solo un terzo è a norma sismica, tanto che solamente nell’ultimo anno si sono verificati ben 56 crolli. La situazione è forse ancora più impietosa se si pensa alle condizioni di aule, laboratori e strumentazione varia, a partire da quella tecnologica. Secondo il GoStudent Future of Education Report 3024 infatti, solo il 34% fa uso di tablet o computer durante le lezioni, realtà che contribuisce a spiegare come mai le competenze digitali degli studenti italiani sono tra le più basse d’Europa.
Insomma, all luce di tutto questo, forse sarebbe ora che questa maggioranza la smettesse di cercare capri espiatori da utilizzare come arma di distrazione di massa e iniziasse a occcuparsi dei veri, innumerevoli problemi che stanno affossando il nostro bel Paese, a partire proprio da quelli legati al disastroso mondo scolastico di cui invece non vi è neppure nemmeno l’ombra nell’agenda politica Meloni, nonostante la qualità e la continuità dell’insegnamento siano alla base delle sorti formative degli studenti del Paese e fulcro del futuro culturale e sociale degli italiani.