Hanno volato, entrambi, nei giorni scorsi. Ma hanno volato in modo diverso. Lei giù, a capofitto, verso l’infinito di un pendio assassino. Lui su, in fuga, con le gambe che chiedevano pietà e la testa che sognava Roma. Hanno volato e hanno fatto sognare anche noi, noi che da questa settimana portiamo a casa due certezze: la Regina della Velocità parla italiano, e l’eroe delle due ruote non è più soltanto un’ombra azzurra tra le fiandre.
Valentina Greggio la dea bianca che brucia neve e tempo:
Vars, Francia. Un muro di ghiaccio, vento, silenzio. Poi, un sibilo. Poi, Valentina. Valentina Greggio non scende. Si lancia. E mentre la gravità si fa preghiera, lei diventa leggenda.
Campionessa mondiale di sci di velocità, ancora. Un oro che pesa come un masso nelle mani di chi non conosce il freno. La pendenza della pista Chabrières non fa paura a chi porta negli occhi il coraggio e nelle gambe la furia. Valentina non gareggia, Valentina domina. Ogni secondo è un colpo al cuore, ogni curva una firma. E alla fine anche il cronometro si inchina.
Gli altri sciano. Lei scivola oltre. Gli altri si difendono. Lei aggredisce il vuoto, spacca l’aria come se fosse vetro, rompe il tempo come se fosse ingiusto. E lo è, perché non c’è giustizia per chi osa sfidare la fisica e vincere.
Una vittoria che è molto più di un oro: è la conferma che sì, in un mondo che corre, c’è ancora chi vola. E vola per noi.
Filippo Ganna, la solitudine della resistenza: Milano-Sanremo. 294 chilometri. Una linea retta che si trasforma in leggenda. C’è il Poggio. C’è la Cipressa. Ma soprattutto c’è lui: Filippo, gigante d’Italia, che fa da solo quello che le squadre fanno in venti. Un cronoman in mezzo ai cacciatori. Un levriero che sfida i leoni. È lì, nel vento e nella fatica, che Ganna costruisce la sua impresa. Attacca, resiste, non si volta mai. Ogni pedalata è una sfida alla resa. Ogni respiro è un grido. Il gruppo alle spalle è una valanga, ma lui regge. Non trema, non cede, si flette ma non si spezza.
E poi arriva Van der Poel. Come sempre. Come l’anno scorso. E lo prende. Lo supera. Vince. Sì.
Ma non è finita lì. Perché quello che resta di questa Sanremo è la corsa di Ganna. La sua solitudine. Il suo martirio a cielo aperto. Una sofferenza che si fa epica. E che, paradossalmente, ha più valore di una medaglia.
Perché perdere così è vincere. Perché restare lì davanti, a sfidare il destino con lo sguardo di chi sa che può bastare un secondo, un guizzo, un buco d’aria – ma se anche non basta, io ci provo – è roba da eroi veri. Da italiani che non cercano scuse, ma strada da divorare.
Laria che tagliamo la terra che graffiamo: In fondo è questo che fanno. Valentina e Filippo. Tagliano l’aria, graffiano la terra, ci ricordano che non serve vincere sempre per essere immortali. Serve lasciare segni. Serve fare rumore, anche quando tutto intorno è silenzio.
Lei sul ghiaccio, lui sull’asfalto. Lei contro la gravità, lui contro le regole del gruppo. Lei sola contro il vuoto. Lui solo contro tutto.
E noi? Noi con loro.
Ogni volta che scendono, ogni volta che partono, ogni volta che rischiano. Perché in quella discesa folle e in quella pedalata rabbiosa c’è un pezzo del nostro orgoglio. Del nostro essere italiani, ostinati, visionari, imperfetti ma mai arresi.
Valentina e Filippo. Regina e Re. Non di un giorno.
Di questa settimana. Di questo sport. Di questa Italia che non molla e vola. Sempre.
E anche quando non vince, fa tremare la pelle.