Polvere di stelle

La straziante meraviglia di “Adolescence”, la serie cult di Netflix

Sono 24 milioni di visualizzazioni, dice orgogliosamente Netflix, oggi saranno il doppio o il triplo. La nuova serie di cui si parla è inglese dello Yorkshire e si chiama «Adolescence»: è bellissima nella forma e nella sostanza, sono quattro episodi di un’ora tutti girati in piani sequenza, senza stacchi, con qualche piccolo e legittimo trucco.

Non è una storia fantasy, non è romantica, non è distopica (anzi, proprio di oggi si parla), non è dozzinale, non fa ridere, non ha alcuno degli elementi che in genere determinano il successo di un prodotto a largo consumo globale. Eppure è nella top ten di 71 Paesi, tutti complici di questo fattaccio di cronaca che nessuno riesce a considerare estraneo.

 

Lo stesso dicasi, in altri contesti, per il successo di Roberto Benigni su Rai1 col suo splendido monologo sull’Europa per ristabilire (ma è stato un caso) la verità sul manifesto di Ventotene: qualcosa è cambiato nei gusti della gente e nel suo «sentire».

Ha letto nei pensieri e nel cuore dell’autore della Vita è bella ed è entrata si corsa nella triste storia di una famiglia il cui ragazzino 13enne è arrestato, accusato di aver ucciso una sua coetanea compagna di scuola. Una famiglia semplice e onesta, con quella parlata un po’ diversa che hanno i film di Ken Loach.

Il fatto che la miniserie ideata da Jack Thorne e Stephen Graham (l’attore strepitoso che sostiene il ruolo del padre) diretta da Philip Barantini sia stata girata senza stacchi, entrando prima in casa poi a scuola poi correndo per inseguire un ragazzo, infine nei meandri di un ipermercato, infine ancora a casa, dribblando porte e finestre, quindi rifatta varie volte come a teatro, imparando il testo poco alla volta ma senza potersi permettere il lusso di sbagliare e rifare, scegliendo poi la versione migliore, significa per noi che la vediamo che la vita è proprio come il cinema, perché il tempo è quello reale.

È quello che ci capita, raccontato senza inganno e senza trucchi, senza il montaggio, senza la musica che influisca sulle nostre emozioni. Sono 4 momenti, vicini nel tempo, passa solo una manciata di mesi: nel primo episodio la polizia, nel Doncaster, con un ispettore capo, un sergente e alcuni poliziotti, irrompe e sfonda all’alba la porta di casa, come ci fosse il Padrino, per arrestare un ragazzino assonnato (un attore da brivido, debuttante) che viene portato in custodia, interrogato e perquisito, sempre dichiarandosi estraneo ai fatti; nel secondo, tre giorni dopo, i poliziotti vanno a indagare nella scuola, interrogando i compagni e i professori; nel terzo, il più spietato, assistiamo, sette mesi dopo, al colloquio a due tra il ragazzo, Jamie, e la psicologa (Erin Doherty, vista in «The Crown») soprattutto sui rapporti con le ragazze e sul suo aspetto fisico; nell’ultimo, passati 13 mesi dall’omicidio, vediamo il disfacimento della famiglia e sentiamo la telefonata del figlio che fa gli auguri al padre nel giorno fatale del suo 50esimo compleanno.

Non ci sono grandi spoiler, se non quelli esistenziali, si tratta di capire il perché e di indagare sui segreti usi e costumi social dei giovani, gli effetti devastanti del cyber bullismo, la così detta cultura della contrapposizione sessista (la radicalizzazione incel) che mina non solo l’intelligenza ma anche la sensibilità dei rapporti.

Non si vede il delitto, solo un video da lontano, si tratta di andare «oltre» e di interpretare le rabbie e le tenerezze di questo ragazzo che prima nega il delitto ma poi sente a momenti il peso di una grande colpa e di un rimorso incolmabile nei confronti della famiglia e in particolare del padre che non può evitare di chiedersi quale sia la sua parte di colpa.

Ma non è un manuale di sociologia giovanile, è un magnifico temporale che si vede d’un colpo e d’un soffio, che scuote tutta una famiglia, inevitabili le identificazioni, e la scuola, l’istituzione che sta al suo fianco. Una narrazione che lascia il segno, una progressione fantastica di sintomi psicologici e la prestazione di questo ragazzo, Owen Cooper, che davvero è di una verità devastante per la sua età: una serie che ci insegna come il cinema spieghi anche l’irrazionale della vita con tutti i suoi strumenti, anche momenti estremi che vorremmo considerare irreali ma purtroppo lo sono sempre meno.